Due settimane dopo.

Due settimane, 14 giorni. Un lasso di tempo né troppo lungo né troppo breve, forse il tempo minimo per iniziare a metabolizzare un evento eccezionale.

Due settimane fa ci sentivamo immortali, invincibili. La Battaglia delle Arance era confermata, nulla sembrava poter fermarci. Nulla sembrava poter fermare lo Storico Carnevale d’Ivrea. Domenica 23 febbraio, ancora un po’ inebriati dal sabato sera, eravamo pronti a indossare le nostre divise. Chi quella Vezzosa Mugnaia, chi quella da Piffero, chi quella da arancere, chi “solamente” un berretto frigio. Due settimane fa eravamo pronti… Le arance erano stipate nelle cassette, là, nelle nostre piazze, sul nostro campo di battaglia.

Per un attimo abbiamo sfiorato il cielo, per un secondo siamo stati sull’Olimpo. Per una domenica, siamo stati il popolo di Violetta.

Due settimane dopo dall’ordinanza che ha sospeso il Carnevale cosa ci rimane? Ieri ho incontrato un amico che non vedevo dalla sfilata del sabato sera. “Lo dico subito, io lunedì ero in piazza con la Mugnaia, sono partito coi primi dal Borghetto”. Ci rimane questo, forse. Ci rimane l’aver resistito per un giorno, l’aver reagito in maniera genuina, intima, popolare. Non voglio spendere altre parole sul “lunedì ribelle”, descritto esaustivamente da Federico Bona. Ma cosa ci rimane, cosa ci resta a due settimane da questo strano Carnevale? Cosa ci rimane a due settimane dall’unico giorno di tiro?

Ognuno cerchi una risposta, ognuno tracci un proprio bilancio. Sicuramente ci rimane il sorriso, ci rimangono le emozioni. L’eccitazione del primo carro entrato in piazza, l’adrenalina che sale al grido “maschere!”, la gioia nel riabbracciare quei compagni di mille battaglie che magari vediamo solo al tiro, il calore del vin brulé condiviso con il primo che capita. Ma anche la commozione delle figure storiche, che sapevano prima degli altri, la tristezza di chi lavora 365 giorni l’anno per la macchina organizzativa, la delusione nel riporre la divisa in un cassetto. Per un altro lunghissimo anno.

Ci rimane tutto questo, il dolce e l’amaro. Ma non dimentichiamoci che ci rimane anche il sorriso, perché se amate questa festa, appena sentite la parola “Carnevale” le vostre labbra si inarcano, quasi in automatico, quasi in maniera autonoma, spontanea. E sorridete.

Ivan Boine